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Social Media Risk Management: questo sconosciuto, il caso di Banca Intesa S.Paolo

Posted 5 October 2017 | by Massimo Vologni | in Comunicazione, Consulenza, Information Technology, Information Technology, Marketing, Social Media Marketing, Social Media Marketing

Intesa-SPaoloSottotitolo: “Le 7 regolette che possiamo imparare da tutto ciò” – (perchè mi hanno detto che gli elenchi fanno viral-mktg )

Sotto-sottotitolo: “La mamma degli haters è sempre incinta!”

Da due giorni a questa parte si sono spesi terabyte di post ed articoli sul video della direttrice della filiale di Banca Intesa San Paolo, alla quale va la mia totale, completa ed incondizionata solidale simpatia, soprattutto perchè fa la direttrice di banca e non la cantante o la ‘creativa’.

Ma credo invece che questa ‘case history’ abbia i suoi risvolti più imbarazzanti per l’istituto di credito, non in un contest interno che ha avuto una veniale ‘fuga di contenuti’ ma nella gestione del canale Facebook della banca stessa, dove hanno manifestato di non avere cognizione di causa in materia di social media risk management.

Ora che gli haters siano sempre pronti a cavalcare le impronte di Davide contro Golia, non aspettino di meglio che un passo falso per scatenarsi con tutta la forza del tritacarne mediatico social è un fatto acquisito; anzi, non vedono l’ora di poterlo fare contro chi fa dell’arroganza e dello sbilanciamento usuale di rapporti di forza la propria cifra comportamentale video contest Intesa San Paolocome può accadere nei confronti di una banca, più il soggetto è grande e tanto più veemente è l’onda scatenata da questi soggetti. Ma detto questo, di video buffi, goffi, malfatti girati all’interno di società in tutto il mondo se ne sono visti altri; ho ragione di presumere che quest’altro video provenga dal medesimo contest ma non ha suscitato la stessa ferocia. Capire cosa è scattato in un caso si e nell’altro invece no è un esercizio che non ci interessa, resta un fatto che l’attacco principale non è tanto nei confronti della banca quanto invece della persona e questo decisamente è grave e spiacevole.

Vediamo di fronte a tanto clamore cosa succede sulla pagina Facebook della banca, in cui community manager intesa-social-appsono impegnati a lanciare una call-to-action per la nuova app per i correntisti? Accade che il pubblico dei propri clienti apprezza ben poco le funzionalità della nuova applicazione e si scatenano tanti commenti critici, davanti ai quali, la risposta e l’interazione dei responsabili della pagina è sostanzialmente corretta, credo che si siano interfacciati con il customer care, hanno invitato i clienti ad un contatto personale teso a risolvere le problematiche individuali, sottraendo opportunità di ‘flame’ sul canale social, e fino a qui tutto bene.

É normale che la reazione del proprio pubblico di riferimento destino preoccupazione, ma anche che rientri nella normale gestione del rilascio di una nuova interfaccia applicativa il fatto che questa possa suscitare obiezioni, contestazioni e critiche da parte della clientela e che le medesime trovino normale sfogo anche sui canali social, oltre immaginiamo anche agli altri strumenti di contatto del customer care.

Ma ad un certo punto succede qualcosa, ovvero che intorno alle 16.30 del 3 ottobre 2017, appare il primo post relativo al video della direttrice della filiale di Castiglione dello Stiviere, e che a questo, forte dell’eco dovuta alla diffusione virale delIntesa-social-fail contenuto ne seguano decine, centinaia di commenti, tral’offensivo, il sarcastico, come di quelli che sono preoccupati della salute di Fabio e la cosa va avanti per ore, ormai per giorni ed i community manager cosa fanno? Cosa dicono? Nulla… un silenzio assordante al punto che ci sono persino commenti che dicono ‘ma l’azienda dov’è?’

Appunto, qual’è la posizione dell’azienda? Perché non fa sentire la sua voce? Nessuno risponde, qualche insinuazione circola in merito a sanzioni disciplinari prese contro la funzionaria della banca, ma di cui non si trova alcun riscontro, e nel vuoto comunicativo diventa facile che le voci più sentite siano quelle ‘contro’.

Un’azienda, qualsiasi azienda non si può permettere tutto questo!

Prendiamo spunto da questo episodio, che ripeto, considero anche semplice e veniale per la sua natura, quindi sarebbe stato oltremodo semplice gestirlo, per ordinare alcuni assunti che tutti coloro che usano i social ed il web a titolo personale o professionale dovrebbero aver ben chiari in mente:

a) Quando condividi un contenuto tramite qualsiasi strumento digitale, lo stesso può facilmente essere oggetto di re-distribuzione da parte di chiunque ne entri in possesso, legittimamente od anche in modo illegittimo.

b) Deriva in modo diretto dal punto precedente, che questo assunto è ancor più valido quando un contenuto viene pubblicato su un canale social, in modo anche abbastanza indipendente dal livello di privacy impostato.

c) Qualsiasi contenuto pubblicato in rete, viene facilmente ed autonomamente replicato migliaia se non milioni di volte e se ne perde, nei fatti, ogni possibilità di controllo.

d) Sarebbe bene che ognuno prima di pubblicare qualcosa in rete si chiedesse: proietterei questo video o farei ascoltare questo audio pubblicamente in una piazza affollata dove tutti sanno o possono sapere chi sono? Stamperei le stesse parole di questo post su un volantino mettendoci sotto nome e cognome e indirizzo per poi stamparne centinaia di migliaia di copie da distribuire all’ingresso di un centro commerciale?
Se la risposta è no, dovreste astenervene; perchè pubblicare qualcosa in rete corrisponde esattamente alle azioni di cui sopra nella vita reale!

Veniamo ora all’azienda, della quale traspare il silenzioso imbarazzo e disorientamento, dettato soprattutto da un fattore, per quanto grandi e strutturati, mentre hanno sicuramente curato il massimo del livello di sicurezza dei loro sistemi informativi interni, non hanno fatto lo stesso per la loro comunicazione social, non hanno fatto una valutazione del rischio e pianificato la strategia di risposta e posto in essere le contromisure necessarie, non hanno applicato quindi le procedure richieste per un corretto social media risk management.

Un processo che oggi dovrebbe essere integrato in tutte le procedure aziendali, non ultima quella della comunicazione esterna, soprattutto quella online, dal momento che qualsiasi cosa pubblicata nella più remota località della terra, messa nel web, diventa raggiungibile un secondo dopo da tutto il mondo.

Il social media risk management è esattamente questa materia che richiede la professionalità di chi abitualmente gestisce i rischi a quella di chi maneggia quotidianamente e professionalmente i media digitali ed ha competenze nella gestione di team di lavoro in condizioni di elevata criticità.

Come funziona:

  1. Valuta tutti i possibili rischi che possono riguardare la comunicazione digitale della tua azienda, dovuti per colpa, premeditazione od anche solo sottovalutazione da parte di chiunque faccia parte della tua organizzazione.
  2. Considera la percentuale di possibile accadimento/frequenza di tali eventi avversi.
  3. Stima in modo prudenziale (e quindi sopravvaluta) la portata del danno, di immagine, reputazione od altro che ne può derivare.
  4. Previeni, ovvero crea un documento con le linee guida comportamentali per tutti i componenti della tua organizzazione. Io non condivido ad esempio, in questo ambito, un approccio ‘dirigistico’ ritengo che sia molto più efficace, anche se minimamente più faticoso, un processo che porti tutti alla consapevolezza del fatto che sui media digitali, anche in situazioni appartenenti alla sfera privata, le persone continuano verso il pubblico a rappresentare anche il ruolo professionale e che pertanto, compiendo gesti poco avveduti, gli esiti possono portare danno anche all’ambito lavorativo ed all’impresa di cui si è parte.
  5. Definisci la governance del processo di gestione del rischio, così come hai nominato i responsabili dell’antincendio e del primo soccorso in azienda, devi stabilire se l’intervento di gestione e reazione ad un avvenimento potenzialmente sfavorevole nel perimetro della tua comunicazione aziendale debba far passare il livello di gestione su persone preparate, ovvero competenti e formate, a questo scopo.
  6. Prepara un set di azioni e reazioni che possano definire lo ‘stile’ aziendale davanti al concretizzarsi dei singoli rischi, tali attività dovranno essere differenti soprattutto in ragione del tipo e della portata di danno che possono portare.
  7. Pianifica la recovery strategy, ovvero il modo migliore perchè dopo il divampare delle fiamme, nel più breve tempo possibile si possa raggiungere l’oblio dell’evento avverso.

A quel punto che sia un video ridicolo ad investirti, oppure l’insensata intervista rilasciata via radio dal tuo amministratore delegato a travolgerti, l’azienda saprà sempre chi deve gestire la situazione e come; evitanto appunto in casi minimi come questo dove, nonostante tanti parlino di ‘epic fail’ io invece non spenderei certo un termine così forte, nel silenzio, una piccola fiamma può far divampare l’incendio ed i danni di immagine, grazie anche all’azione dei motori di ricerca può lasciare traccia molto a lungo nel tempo.

Il social media risk management, non è materia da ‘social media cosi’ ma richiede un approccio professionale e strutturato che può offrire solo chi ha competenza anche nell’ambito di gestione di organizzazioni complesse e management aziendale in modo direttamente proporzionale alle dimensioni ed alla rilevanza dell’impresa.

 

Tags: comunicazione aziendale, Information Technology, reputazione aziendale, risk evaluation, social media, social media risk management

About author Massimo Vologni

Massimo Vologni

Dal 2000 consulente e formatore in ambito commerciale e marketing operativo. Esperto di ICMT e digital media marketing. Dal 2010 è socio di People3.0.

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